TORELLA TRA IPOTESI E STORIA

             

di Carmen e Wanda Conte

tratto dal libro "Torella del Sannio nei suoi antichi Capitoli" Ed.Cannarsa -1993

 

Le origini di Torella, la sua denominazione e le sue antiche vicende storiche scompaiono nella notte di un passato nel quale è impossibile penetrare per mancanza assoluta di documenti.

Secondo le poche, incerte e generiche notizie, o meglio supposizioni, il primo nucleo di Torella sarebbe sorto intorno all’800 ad opera di un gruppo di profughi, provenienti dalle pianure del Biferno o del Volturno, scampati alle incursioni saracene.

La scelta del luogo, per la nuova dimora, sarebbe caduta su Collato per la struttura morfologica del terreno che permetteva l’avvistamento e la difesa e rendeva difficile l’arrampicata ai predoni.

Ignoriamo le vicissitudini di questo manipoli di fuggiaschi, ma senz’altro si fortificò ed eresse, sulla collina degradante verso il Biferno, una torre di guardia i cui resti continuano tuttora a sfidare i secoli.

La resistenza del rudere, chiamato indifferentemente Torre o Pistillo, ha acceso ed alimentato, nel tempo, la fervida fantasia di generazione di Torellesied ha affidato Collalto alla leggenda. Leggenda che lo volle bellissimo sito di un agglomerato urbano, i cui abitanti vivevano nell’armonia e nel benessere, distrutto in seguito dai fulmini e dalle formiche ed infestatola orridi serpenti. Ma c’è di più: fu sede degli inferi ed ospitò nelle sue caverne demoni ed oro in un connubio perfetto di terrore e di desiderio.

Era solo un modo per evadere dalla tragica realtà e dalla miseria che ci attanagliava o c’era stata davvero, in epoche remote, una comunità felice?

Non è comunque da escludere l’ipotesi di un insediamento sannitico nelle zone di Collalto, Colle Bove e Vicenda del Sole, se è veritiera la descrizione di oggetti e monili rinvenuti nel passato in quei luoghi.

Rimanendo sempre nel probabile, intorno al 1000, su uno dei Colli a nord-ovest del territorio occupato e precisamente sul Ciglione, in quanto garantiva salde fondamenta e posizione dominante, sorse il castello che, posto a guardia del tratturo (ramo Lucera-Castel di Sangro), se seguì gli eventi, espletando funzioni fiscali, di difesa e fors’anche di razzìa.

La notizia dell’esistenza di questo maniero, in epoche tanto lontane, l’apprendiamo da Molise Economico (n.4-1983) nel quale si legge testualmente: "De Francesco, 1910, pag.123. Inoltre il Chartularium tremitense (pag.27) registra che nel 1111 Roberto II dona alla Badia Santa Maria, nelle Islole Tremiti, i Castelli di Pietrafitta e di Torella".

I registri della Cancelleria Angioina (1265-1281), poi, ci fanno supporre che il Castello si chiamasse Torello (forse dal nome del suo fondatore o di uno dei suoi possessori) onde la denominazione data al borgo.

Il Castello non è più riconoscibile nella sua struttura originaria per le continue trasformazioni subite nel tempo, ma vi si possono riscontrare, ancora oggi, alcuni caratteri particolari dell’architettura fortificata angioina, come i torrioni cilindrici su basi tronconiche.

Dando seguito all’ipotesi, i Collaltesi, spinti dal bisogno di una maggiore protezione o allettati da una posizione che immetteva in un contesto sociale più ampio o costretti dalla prepotenza del dominasi castri, salirono verso il castello e si fermarono ai suoi piedi costruendo il primo nucleo di Torella.

L’antico sito fu abbandonato come dimora ma non nelle colture per cui i cittadini vi conservarono sempre turri i diritti primitivi, nonostante le mire dei baroni nel volerlo considerare feudo separato da Torella.

Accanto al Castello, simbolo del potere temporale, sorse la chiesa, simbolo di quello spirituale. Le due forze, attraverso il tempo, secondo gli interessi di chi ne teneva le redini, si escludevano e si amalgamavano, si lottavano e si riconciliavano a spese dell’umanità dolente ad essi sottomessa.

A completare il paesaggio medioevale, nel XIV secolo troviamo nella zona chiamata Prato, nei pressi dell’attuale chiesa del SS. Rosario, un convento dei Padri Celestini, dedicato a San Rocco. Ne abbiamo notizia da un grafico di un certo fra’ Zagamo da Limonano, vissuto in quell’epoca.

Dal grafico veniamo pure a conoscenza di un’altra fortezza sita sul Colle e tenuta dal "turbolento e geniale Capitan Ciannarra", rivale di Messer Cicco, castellano del Ciglione.

Ad un’attenta analisi della zona, infatti, non può sfuggire un agglomerato urbano antichissimo, nascosto dietro ristrutturazioni e intonaci di cemento variamente colorati, mentre un arco, ben conservato, fa pensare all’accesso al "fortellizio".

Ignoriamo il nome dei Feudatari che possedettero Torella anteriormente all’avvento degli Angioini.

I primi documenti in merito risalgono alla seconda metà del XIII secolo e ci danno come signori, col titolo di "Conti di Torella" le famiglie Captano e Sanfromondo (1266-1467).

Alla morte di Alfonso I d’Aragona, avvenuta nel 1458, il baronaggio del Reame si divise in due opposte fazioni: l’una favorevole a Ferrante I, figlio illegittimo di Alfonso, ma erede al trono e l’altra , tra cui i Sanfromondo, a Giovanni d’Angiò , erede presuntivo.

Dopo le alterne vicende che insanguinarono le nostre contrade e la restaurazione della monarchia Aragonese, Ferrante I, nel 1467, privò i Sanfromondo di tutti i feudi (compreso Torella) che il 1495 furono concessi da Ferrante II ad Andrea di capua, duca di Termoli, fedele alla casa d’Aragona.

In vero i Sanfromondo già in precedenza avevano perduto i loro possedimenti feudali "per avere costui (Guglielmo III conte di Cerreto) alle parti degli Angioini, contro la regina Giovanna II, fu da quella dichiarato ribelle, ma poscia aggraziato insieme coi suoi fratelli e nipote nel 1417 li vengono restituiti Cerreto, La Guardia, Sanfromondo, Cusano, Civitella, Ponte, Monterone, Faicchio, La Rocca, co Li Casali di Mass Superiore e Inferiore, Fossaceca, Torello, Collalto e Castelluccio.

Non abbiamo fonti per stabilire se la nostra Terra, nel lasso di tempo che va dal 1467 al 1495, fosse stata assegnata a qualche casata o se avesse avuto la fortuna di rimanere nel demanio regio.

Andrea di Capua tenne il feudo di Torella fino al 1512, anno della sua morte. Gli succedette il suo unico figlio Ferrante che sposò Antonicca del Balzo, erede dei feudi fraterni di Giovinazzo e Molfetta. Per questa ragione Ferrante ebbe da Carlo V il titolo di principe di Molfetta e l'autorizzazione a chiamarsi, con la sua discendenza di Capua del Balzo.

Ferrante morì, ancora giovane, lasciando come erede la primogenita Isabella (aveva due sole figlie) col precipuo dovere di sposare lo zio-cugino Vincenzo di Capua, affinchè i beni feudali rimanessero in famiglia.

Isabella, invece, preferì Ferrante Gonzaga della casa principesca di Mantova. Maria, secondogenita, aprì con la sorella una lunga vertenza che terminò col matrimonio riparatore di costei con lo zio-cugino e la ripartizione dei feudi.

Giambattista Masciotta ne "Il Molise dalle origini ai nostri giorni", e precisamente nella monografia riguardante Torella, sostiene che Ferrante di Capua vendetta la nostra Università ad un Caracciolo, principe di Avellino, che ne conservò il dominio per circa un secolo, fino al 1632.

Noi, però, nel 1572 troviamo come utilista di Torella, Ottavio di Capua del Balzo che concesse e firmò la Pandetta della Mastrodattia, riconfermata da Francesco Francone.

Da un altro documento del 12.1.1595, relativo allo jus presentandi della badia di San Giovanni delle Macchie, apprendiamo che anche il padre di Ottavio, Vincenzo, fu padrone della nostra Terra. Infatti, un anziano cittadino, interrogato, come era consuetudine, in certe occasioni per accertare vecchi diritti e possessi, afferma che "have inteso dire che similmente fu presentato (l'abate) in detta Abbazia dal quondam signor duca, Vincenzo di Capua, (che) a tempo possedeva et era Barone di detta Terra di Torella".

Inoltre un atto rogato nel 1612 da notaio Giandomenico Carrelli di Fossalto ci informa che nel 1608 Ottavio di Capua vendette i feudi di Torella e di Fossaceca a Cesare Greco per la somma di quarantaquattromila ducati. In esso così si legge: in nostra prsesentia constitutus dominus Caesar Grecus civitatis Iserniae utilis baro territoriorum Montis Nigris et montis Itiliae et aliorum territoriorum in prov. Com. Molisij asserens coram nobis quattuor annis elapsis emit libere a domino Ottavio de Capoa de Neapoli terras Fossacecae et Toraellae pro pretio ducatorum quadrigintaquattuor mille". (ASCB, Fondo notai Fossalto, Carrelli Giiandomenico, anno 1912).

Alla luce di queste conoscenze si possono fare due ipotesi: o i Caracciolo di Avellino tennero Torella per breve tempo per poi rivenderlo alla famiglia di Capua del Balzo, o i di Capua ne furono padroni, senza soluzione di continuità, fino al 1608.

Da questo momento (1608) Torella passa in Signoria della della famiglia Greco di Isernia, con Cesare compratore, deceduto nel 1615, con Giambattista ed infine con Carlo che nel 1641 la vendette a Tiberio del Giudice, nobile napoletano.

Nello stesso periodo, e precisamente nel 1639, i Relevi, riguardanti il feudo di Torella, riportano il nome Cassandra de Lima della quale, comunque, non abbiamo altre notizie.

Tiberio del Giudice il 18 luglio 1641 prese possesso della nostra Terra con tutte le formalità del caso.

In quel giorno si recarono, davanti alla porta principale, il notaio Giandomenico Carrelli, i sindaci Alessandro de Alessandro, Bartolomeo Baldassarre e Donatuccio di Gioe Ciamarro, gli eletti Iosepho de Gregorio e Camillo Iannacone, nonchè un copioso numero di cittadini "all'uopo radunati".

Qui il signo Tiberio in persona, accompagnato dal suo seguito (non era facile che un padrone prendesse possesso delle Terre acuistate o avute in eredità), dichiarò di aver comprato da Carlo Greco con Regio Assenso, per la somma di ducati 16943, con atto del 29 maggio 1641, ratificato il 20 giugno dello stesso anno, la Terra di Torella con tutti i suoi diritti, con il castello o fortezza, con la casa o palazzo, con tutti i vassalli dei vassalli, redditi, beni, membri, mero e misto impero e la podestà del gladio e tutta la giurisdizione civile, criminale e mista con cognizioni di prime e seconde cause e tutti gli altri diritti giurisdizionali e la percezione degli introiti.

Indi entrò nella cittadella acclamato ed osannato da tutto il popolo ed abbracciato come a nozze dai governanti che gli consegnarono le chiavi delle porte della Terra.

Il barone, dopo averle ricevute, le tastò e "prese reale e corporale possessione", chiudendo ed aprendo le porte, camminando per le vie del Borgo, stando, sedendo, fermandosi e facendo tutti quegli atti che indicavano la vera presa di possesso. E tutto pacificamente e quietamente, nemine discrepante et contradicente.

Continuando giunsero tutti davanti al castello dove li aspettava il camerario Giovanni Donato di Meffe che consegnò le chiavi al nuovo padrone.

Il duca entrò nel castello, ripetendo sempre gli stesi atti in precedenza, ne uscì e si fermò nello spiazzo antistante da dove era possibile abbracciare con lo sguardo la maggior parte dei territori di Torella ed in particolare di Collalto e, ad alta voce, dichiarò di prendere possesso non solum anomo sed etiam corpore.

Tornando poi all'interno del castello, si diresse col seguito nelle stanze dove si teneva Corte e dove il capitano faceva residenza. Qui ricevette la verga della giustizia da Iosepho Lombardo, erario ed in quel periodo anche luogotenente per l'assenza del capitano. Il nostro barone la tenne in mano in segno di potestà del gladio, sedette al Banco della Giustizia e parlando con gli uomini del Governo fece loro sentire la sua autorità e li invitò all'obbedienza e alla sottomissione.

Lo stesso giorno, con un documento separato da quello della presa di possesso, Tiberio del Giudice giurò solennemente di rispettare e far rispettare dai suoi eredi e successori tutti i Capitoli municipali, i privilegi, le consuetudini antiche, le prerogative e qualunque altra immunità della stessa Università, senza innovare e far innovare cosa alcuna, seguendo l'esempio di Carlo Greco e degli antecessori. In caso di mancato rispetto dell'accordo si impegnò a pagare la somma di 1500 ducati.

Testimoni per entrambi gli atti furono Gioe Nicola Petrunti, Martio Petrone, Domenico Ascanio Priameo, Francesco Antonio Paduano, Antonio Cionto, letterati della terra di Cerreto, Francesco Antonio de Orlando di Fossacesca letterato, Cesare Ortino di Limosano e Iosepho Carolo della terra di Agnone letterato. Il giudice a contratto fu Manzonio de Orlando della Terra di Fossaceca.

Tiberio rimase padrone di Torella per circa 40 anni ed alla sua morte, nel 1682, non avendo eredi diretti, gli subbentrò il fratello Gennaro, gia abate di San Giovanni delle Macchie e di Santa Maria di Collalto.

Don Gennaro, svestito l'abito talare e "fattosi barone, si casò" con Donna Agnese Carmignano e tenne il nostro feudo fino al 1691, anno della sua dipartita.

Ma era destino di questo ramo della casata non avere eredi in feudalibus per cui lanostra Terra fu devoluta, come si diceva in questi casi, in beneficio della Regia Corte, ob defectum successorum e con decreto della Regia Camera del 4-3-1692 fu ordinato "farsi l’apprezzo" di Torella, perché si potesse vendere all’asta al miglior offerente.

L’incarico venne affidato al tavolario Antonio Galluccio.

Con molto rammarico dobbiamo dire che non siamo riusciti ancora a trovare questo apprezzo, nonostante le ricerche fatte nel Grande Archivio di Stato di Napoli.

Sappiamo, comunque, che il tavolario si recò in loco nel mese di aprile dello stesso anno e da prassi cavalidata possiamo dedurre che, assistito da alcuni periti, procedette alla ricognizione dell’intero feudo tenendo presente il Catasto Onciario, le rivele, le significatorie ed altri documenti che avrebbero potuto interessare le parti. Si avvalse anche delle informazioni fornite dal banditore, dalle persone anziane del luogo e da quelle dei paesi circonvicini.

Valutò tutti i diritti feudali ed i beni burgensantici di cui si parlerà in prosieguo. Prese in esame la posizione e i confini della Terra, la salubrità dell’aria, il tipo di terreno e di coltura, le acque fluenti e non, la distanza da Frosolone, da Trivento, da Campobasso, da Lucera e da Napoli, vale a dire dai centri che interessavano, maggiormente i cittadini. Controllò dettagliatamente il borgo con le mura, le porte, le torri di difesa, le carceri, le strade, i vicoli, le abitazioni, il palazzo baronale, le chiese dentro e fuori le mura, le sepolture, l’ospedale, le taverne, il forno, i pagliai ed altro. Si informò del governo dell’Università, dei torellesi, della loro indole, del loro modo di vivere e di vestire, del loro lavoro, del loro stato di salute e persino della loro longevità. Enumerò gli animali ovini, bovini, caprini e somarini e prese ragguagli su quelli minuti.

Stesa la relazione, il signor Galluccio la presentò alla Regia Camera che, chiarite alcune difficoltà circa un debito di 6600 ducati con relativo interesse, contratto dall’olim padrone Gennaro del Giudice con il Monte delle 29 Famiglie di Napoli, decretò la vendita con la formula consueta quod stante appretio facto procedatur ad venditionem Feudi (Terrae Torellae) et emanentur Banda ad offerendum. Indi l’Incantatore del Sacro Regio Collegio, alta et intelligibile voce ut moris est, pubblicò i tre bandi per la vendita del nostro feudo, facendo affiggere i cartelli nei luoghi soliti di Napoli, nella Sala dello stesso S.R.C., nella Regia Camera della Sommaria, davanti alla porta della nostra chiesa ed in quelle di altre Terre a noi vicine.

Espletate le formalità d’obbligo, si presentò, presso gli atti dello scrivano addetto, il dottor Nicola Guerra che si offrì di comprare la Terra di Torella col relativo feudo di Collalto.

Il 14 giugno si accese la candela nella Regia Camera, estinta la quale, Torella rimase al richiedente per persona nominanda ad finem providendi per la somma di ducati 9621 di cui 7904 per i feudali e 1717 per i burgensatici.

Il 16 giugno si accese di nuovo la candela per l’aumento del decimo e questa volta il dottor Nicola offrì, in beneficio della Regia Corte, senza la clausola ad finem providendi, ma "a tutta passata ", ducati 8000, esclusi i beni burgensatici, con l’impegno, però, di soddisfare il debito con gli annui pesi e nominò il compratore Francesco Francone, marchese di Salcito, figlio di Paolo.

Il nuovo utilista il 19 giugno stipulò lo strumento con il vicerè.

Don Francesco de Benavides, conte di Santo Stefano, in nome della Cattolica Maestà e "Sua Regia Corte e Fisco".

Fummo così venduti all’asta come cose, insieme alle nostre povere cose ed alle nostre bestie.

Nel mese di luglio 1692, alla presenza del notaio Domenico Cirillo di Taranto, il signor Francesco Francone prese il possesso di Torella con il consueto rituale.

La sua casata ci dominò fino al 1806.

In questi 114 anni i Francone diedero a Torella tre utili signori e padroni. Il primo fu Francesco, già possessore per eredità paterna di altri feudinel Contado di Molise, fra i quali Salcito e Pietravalle, Torre di Zeppa e Ripabottoni (divenuto Ripafrancone nel 1733) e Pietracupa acquistati rispettivamente nel 1654, 1657, 1676.

Francesco Francone, marchese di Salcito, principe di Ripa e padrone di Pietracupa e Torella, ristrutturò i suoi feudi con molta determinazione e con l’intento di farli fruttare al massimo.

Nel 1707 chiese ed ottenne che il feudo di Pietracupa fosse mutato in principato e si fregiòanche del titolo di principe di questa Terra. Morì il 14-10-1737 lasciando erede universale il primogenito Paolo, cavaliere napoletano, che dominò, con mano non meno pesante di quella del padre, fino al 15-1-1771.

Suo erede sarebbe dovuto essere il primogenito Michele il quale, come si legge nei Cedolari, rinunziò perché "vuole esimersi dalla cura ed inquietudine che seco porta l’amministrazione dei Feudi ed altri beni e quantunque goda età florida, e giovanile non ha idea di ammogliarsi per menare vita quieta e tranquilla, quale refiuta ce l’ha fatta benanche per averlo stimolato a prendere stato coniugale e per contrarre matrimonio proprio e degente (conveniente) alla sua nobile condizione e perpetuare la sua nobile Famiglia, quale matrimonio di già sta appuntato da contrarsi con la illustrissima Catarina Ruffo Colonna dei Duchi di Baranello".

Fatto Michele "il gran rifiuto", il feudo passò al secondogenito Giovanni, ultimo della stirpe, che lo tenne fino al 6-2-1806.

Costui, non avendo avuto prole dalla consorte Zenobia d’Evoli, istituì erede universale il nipote Ambrogio Caracciolo di Torchiarolo, figlio della sorella Donna Immara Francone e del principe Luigi.

Ambrogio Caracciolo, però, non potè rivelare le nostre terre come utilista per l’avvenuta eversione della feudalità e ne rimase semplice comproprietario con il Comune.

La difficile e dispendiosa vertenza per la ripartizione degli ex feudali durò a lungo e si risolse solo nel 1892 con una transazione.